La faglia

  • di Lila Veneziani

Certi suoni ti svegliano anche dal sonno più profondo.

L’ho sentito chiaramente, all’inizio di questa storia, lo scricchiolio insostenibile che veniva da sotto i piedi, dalla profondità delle rocce. Il rumore sordo della terra che si muove, anche se non l’hai mai sentito prima, è primitivo e non puoi ignorarlo.

Era la notte del 20 maggio 2012 quando l’eco di un terremoto reale riuscì a scaraventarmi giù dal letto in un secondo per guidarmi in camera dai miei figli, strapparli dalle lenzuola e correre giù per le scale, a piedi nudi, per trovare loro un rifugio in strada. Solo una volta fuori riuscii a riattivare il cervello e domandarmi cosa diavolo stesse succedendo: vicino, da qualche altra parte, stavano crollando pezzi di città, mentre lì era arrivata solo l’eco di quel movimento profondo.

Immagino che questo sia ciò che accade se si è rimasti in qualche modo in connessione con la terra, ovvero che nelle emergenze il suo richiamo – su altre frequenze – inneschi reazioni indispensabili alla sopravvivenza: pericolo-risveglio-azione tutto in uno. Solo dopo, alla fine, arriva il ragionamento a fare la sua parte.

Forse soltanto grazie a quel ricordo ben presente nella mia memoria, ho potuto riconoscere il sisma sociale che stiamo vivendo da due anni a questa parte.

Nell’inverno del 2020 un’indelebile linea temporale ha infatti diviso la storia in un secondo A.C. e D.C. (Avanti Covid e Dopo Covid), aprendo un’enorme faglia nella fragile roccia della nostra società. Nell’A.C. era tutto più semplice: andare a votare, scegliere quale giornale leggere, condividere o meno una linea politica con amici e conoscenti; era semplice riconoscere i ruoli dei personaggi nel gioco delle parti, illudersi di distinguere la ragione dal torto, gli onesti dai furfanti.

Poi, da lontano, è arrivato il sisma, il virus con la sua sciagurata gestione, e niente è stato più come prima; né, ormai è chiaro, tornerà a esserlo. La faglia che si è aperta ha lasciato alcune persone di qua e altre di là, senza che abbiano avuto modo e tempo di scegliere davvero dove, perché, e a chi rimanere vicine nel nuovo mondo che prendeva forma.

Se solo si fosse capito per tempo cosa stava realmente succedendo, molti avrebbero cambiato posizione, o quantomeno si sarebbero interrogati davvero su cosa fosse saggio fare.

L’aspetto disorientante del nuovo assetto sociale è ora aggravato dal fatto che tale frattura si è insinuata con un insolito criterio di divisione. Eravamo infatti abituati alle distinzioni incentrate sui valori politici di destra-sinistra, quelli spirituali di religiosità-ateismo, quelli sociali di povertà-ricchezza. Ma ora questi criteri, nel nuovo paesaggio, non hanno più senso: la separazione è semmai tra chi nutre una solida fiducia nelle istituzioni e chi invece, forse istintivamente più inquieto, ha pensieri divergenti dal sistema.

Il risultato, in ogni caso, è che ora i più stanno da un lato, mentre un gruppo di “dissidenti” – non si sa ancora quanto consistente – dall’altro. In questo dislocamento le pressioni ricevute dal sistema sono enormi, e la forza di questa leva sull’istinto di sopravvivenza molto potente. Queste pressioni hanno infatti agito nelle nostre menti attivando certi istinti primordiali di autoconservazione perché, pur di non restare con gli emarginati, ci siamo scoperti disposti a declassificare amici, compagni e familiari in modo da rimarcarne la distanza e metterci egoisticamente in salvo nella conformità del gregge.

Le domande poi che si sono susseguite nei mesi tra la gente – “Già fatta la seconda?”, “Fatta anche la terza?” –  sono divenute presto un rito complementare a quello del saluto, sottintendendo un riconoscimento sociale che si poteva tradurre con: “So che sei anche tu dei nostri”. Domande il cui vero significato arrivava con maggiore chiarezza quando erano inseparabili dai convenevoli di ogni giorno.

È la legge del branco, quella che infonde sicurezza perché garantisce la miglior tutela.

Così, a suon di lacerazioni, alla fine si è preso posizione, o meglio, siamo stati posizionati, ci sono stati assegnati ruoli prestabiliti in modo che la triste battaglia tra simili potesse avere inizio. Chi di noi, a questo punto, sa davvero per cosa sta combattendo? Chi è più in grado, ormai, di distinguere le opinioni proprie, frutto di discernimenti autonomi, da quelle indotte? Quanta manipolazione sta inquinando l’informazione che riteniamo essere neutra?

Ora che un salto acrobatico non è più possibile, forse solo un attento cammino a ritroso, fino all’origine della faglia, in una paziente opera di comprensione dell’accaduto, potrà essere in grado di riavvicinarci nuovamente. Solo vedendo da dove e perché si sia originata potremmo forse riuscire a lasciarcela alle spalle.

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