Non basta il rischio di una guerra mondiale, la recessione in corso o l’instabilità politica delle imminenti elezioni a distrarci dai nostri doveri. Dobbiamo rimanere sul pezzo, come ci ricorda in una recente intervista il prof. Guido Forni dell’università di Torino, il cui titolo recita: “Perché fare subito la quarta dose e poi il nuovo vaccino in autunno”.
Nel testo si legge:
“I dati israeliani sulla quarta dose mostrano che il rischio di malattia grave negli anziani si riduce di 3,5 volte rispetto alla sola terza dose, ma la protezione ha una durata limitata, di pochi mesi”
Ultimamente mi incaglio nei dettagli di certe letture, che trovo spesso molto più interessanti dell’insieme, e fatico ad uscirne:
“la sola terza dose”.
Questa espressione mi ha ricordato irrazionalmente quando da ragazza mia madre, per non mandarmi in vacanza con le mie amiche, mi diceva che era pericoloso viaggiare per “tre ragazze sole”. Io le rispondevo che era matematicamente impossibile fossimo “sole”, giacché eravamo in tre; ma evidentemente lei pensava, come molti della sua generazione, che le donne fossero ontologicamente inconsistenti se non si muovevano appaiate ad un uomo.
Mi prendo la responsabilità dell’apparente nonsense di questa associazione di idee, tanto qui di razionale non c’è più nulla.
Riassumo quindi i concetti del prof. Forni: dell’efficacia della prima dose e del miracoloso booster non si parla più. Magari servivano solo a far sì che la terza si potesse chiamare terza. Ma la terza è “sola” senza la quarta, e quindi ha comunque la sua buona dose di inutilità. La quale quarta, Forni lo dice senza imbarazzo, ha la scadenza di uno yogurt: il tempo di andare al mare e al rientro sei nuovamente a rischio; di diventare no-vax più che di ammalarti, visto che tutte e quattro le dosi sono tarate sulla variante Alpha – ormai estinta come i dinosauri; ma nell’infinita ricchezza dell’informazione scientifica certi dettagli possono sfuggire. E pensare che l’invito a farsi la quarta dose era il titolo dell’intervista, quindi in teoria doveva essere giusto l’argomentazione più forte.
Comunque sia, più passa il tempo e più crescono in me alcuni quesiti esistenziali, tipo: se dovessi, a seguito di trauma cranico, decidere di andare a vaccinarmi in autunno, mi farebbero comunque, tutte di fila, le prime quattro dosi del vecchio vaccino tarato su Alpha, anche se ormai completamente inutili? Cioè, per capire: ogni stagione è autoconclusiva o resto una no-vax se non parto dal principio? E se mi decidessi ad andare nell’autunno del 2023, quante punture dovrei recuperare? Chissà se nei meandri dei protocolli ufficiali, verrà predisposta una risposta univoca a questi interrogativi o se la scelta sarà lasciata alle “sensibilità” professionali dei medici vaccinatori.
Quello che comunque dovrebbe essere certo è che la quinta dose non si chiamerà “quinta”, perché sarà una medicina “nuova”. Leggasi: quella della volta buona.
Così ci apprestiamo a leggere di alcuni dettagli sulla sua composizione: Moderna, ci dicono, ha in preparazione “una versione con mezza dose del vaccino attuale e mezza di quello aggiornato verso Omicron 1”, mentre Pfizer “ha scelto la stessa strategia, e in più sta misurando l’efficacia di un’intera fiala di Omicron 1”.
Domanda della giornalista al professore: “Perché questa scelta?”
Risposta scientifica di Forni: “Perché il vaccino attuale ha mostrato di funzionare in modo eccellente. Non si abbandona un vaccino con risultati così solidi”
Qui, più che di un vaccino contro un virus, abbiamo urgente bisogno di massicce iniezioni di logica.