Inaspettati legami tra psicoanalisi e intelligence

  • di Silvia Noris

Il libro Psychoanalysis in the Age of Totalitarianism (a cura di ffytche, M e Pick, D., 2016. London: Routledge) raccoglie tutti i contributi presentati alla conferenza dallo stesso titolo tenutasi a Londra nel 2012 presso il Wellcome Collection Conference Centre (qui è possibile trovare un riassunto degli interventi: https://www.spiweb.it/eventi/report-eventi/report-altri-eventi/21-22-settembre-2012-london-psychoanalysis-in-the-age-of-totalitarianism/). In più, si trovano nel testo spunti di ricerca riguardo l’impatto della Seconda Guerra Mondiale sulla psicoanalisi e della psicoanalisi sulla comprensione della guerra e dei sistemi totalitari.
Nel Capitolo 11, intitolato Psychoanalysis and American Intelligence Since 1940: Unexpected Liaisons, lo psicologo e psicoanalista Knuth Müller presenta, basandosi su una meticolosa raccolta di prove d’archivio, la collaborazione tra psicoanalisi statunitense e servizi di intelligence USA durante la Seconda Guerra Mondiale e la Guerra Fredda. Il suo intervento suscitò, durante la conferenza, la reazione scioccata di molti presenti. Di seguito i punti salienti toccati nel testo, che esplora le conseguenze di questa parte della storia psicoanalitica, che non viene mai raccontata.Durante la Prima Guerra Mondiale, la giovanissima psicoanalisi aveva contribuito alla comprensione e al trattamento delle cosiddette nevrosi di guerra e per questo motivo aveva acquisito una certa popolarità all’interno della psichiatria militare. La Seconda Guerra Mondiale ha modificato notevolmente l’assetto di queste discipline: da una parte ha distrutto il movimento psicoanalitico europeo, costringendo alla fuga oltreoceano parte dei suoi esponenti, dall’altra ha fatto guadagnare alla psichiatria americana una maggior considerazione da parte dei servizi militari, delle agenzie di intelligence e della medicina in generale.
Nel 1940 diversi psicoanalisti freudiani che si trovano negli Usa, spesso in esilio per le persecuzioni subite, iniziano a collaborare con la US Intelligence Community, per combattere il nazismo. Durante i primi anni, tra il 1940 e il 1945, l’interesse è sostanzialmente rivolto alla minaccia nemica (Germania nazista, Italia fascista e Giappone imperiale), e si concretizza nell’analisi dei messaggi propagandistici nemici, attraverso lo studio delle trasmissioni radiofoniche, del ‘carattere nazionale’ e dell’umore generale della popolazione.

Nei primissimi anni ’40 gli psicoanalisti Langer ed Erikson forniscono consulenze e rapporti -prima al COI (Office of the Coordinator of Information, fondato nel luglio 1941 dal presidente Roosvelt) e poi all’OSS (Office of Strategic Services, precursore della CIA, nato nel 1942 dalle ceneri del COI insieme all’OWI, Office of War Information, predecessore di USIA, United States Information Agency)- riguardo la mentalità nazista, basandosi sull’osservazione di prigionieri di guerra. Questo avveniva con aperto appoggio e pubblico plauso da parte dell’Associazione Psicoanalitica Americana (APsaA).
Sempre nel 1941 viene fondato il Committee on Morale of the American Psychoanalytic Association; il suo compito è quello di raccogliere materiale dai pazienti con attitudini fasciste e comuniste o antidemocratiche in generale per scoprirne i meccanismi di funzionamento, con l’obiettivo di predisporre una controffensiva attraverso l’uso di strategie propagandistiche psicoanaliticamente informate. Il materiale raccolto proviene dall’osservazione sistematica dei pazienti, relativamente al loro posizionamento rispetto alla guerra.
Langer, nell’ottobre 1941, scrive due rapporti affermando che 100 su 204 dei membri APsaA collaborano con la sua unità (che collabora con i servizi). Ciò significa che la metà degli iscritti APsaA nel 1941 era in qualche modo coinvolta nel lavoro di intelligence.
Scrive Müller: “All’interno del Committee on Morale sembrava esserci consenso sul fatto che ‘attitudini politiche rivoluzionarie’ fossero segni di ‘psicopatologia’ e quindi casi adatti al trattamento psicoanalitico. La propaganda radiofonica venne considerata un importante strumento di trattamento a livello di comportamento di massa” (pag. 150, traduzione mia).

Prosegue citando Simmel, ex direttore della prima clinica psicoanalitica di Berlino, che in un report per il COI nel 1941 propone di implementare una ‘psicoterapia ad onde corte’ per la popolazione tedesca, per renderla conscia delle tecniche psicologiche usate dal regime di Hitler: “La propaganda nazista mira direttamente alle forze emotive dell’inconscio irrazionale e tenta di escludere ogni interferenza critica del super-io, o paralizzandolo (attraverso la paura) o corrompendolo (con premi narcisistici). Siamo in grado di contrastare questa ‘tecnica’ deviando l’attenzione dell’individuo dal contenuto dei messaggi propagandistici ai meccanismi della loro presentazione. In questo modo, blocchiamo una reazione emotiva immediata. (Simmel in Cavin, 2006: n.47)” (ibid., traduzione mia).
Per indebolire la diffusa sfiducia della popolazione tedesca verso i telegiornali statunitensi, Langer suggerisce di applicare i principi psicoanalitici alla propaganda USA via radio: le trasmissioni avrebbero dovuto adottare uno stile oggettivo all’interno di una generale atmosfera di sicurezza, in modo da suscitare fiducia sia nei confronti dell’argomento che del giornalista. La propaganda avrebbe dovuto, in analogia col processo psicoanalitico, essere prima un tentativo empatico di comprensione da un punto di vista neutrale, volto a costruire una solida alleanza di lavoro, per poi arrivare a fornire l’informazione che l’ascoltatore sta inconsciamente o meno cercando, in una interessante equivalenza con il timing delle interpretazioni durante il trattamento psicoanalitico. Ricordo, per una chiarezza complessiva, che nel 1942 viene fondata Radio Voice of America, servizio radiotelevisivo governativo USA che trasmette in gran parte del mondo.
In questo periodo, gli psicoanalisti sentono di dare il loro contributo alla lotta contro il totalitarismo, attraverso la loro comprensione dei meccanismi inconsci in azione nelle popolazioni tedesche, italiane e giapponesi. Secondo loro, trattare i nemici come pazienti psichiatrici affetti da deliri paranoici e onnipotenti è più efficace della punizione di qualsiasi tribunale civile o militare.
Sempre Langer propone, nell’ambito dei suoi contributi alla guerra psicologica, di usare le competenze cliniche nell’analisi della propaganda radiofonica (l’attenzione doveva essere posta sulla scelta di parole particolari, sulle frasi ricorrenti, sui discorsi dei leader) oltre che ovviamente di letteratura, filosofia, religione, arte, miti, eroi, fino ad arrivare alla psicologia delle donne. Raccomanda inoltre di portare avanti studi comparativi tra le nazioni con attitudini antidemocratiche, per verificare l’eventuale presenza di uguali conflitti inconsci e medesimo sistema di difese (psicodinamiche). Questo sarebbe servito a predire le reazioni nemiche a determinate circostanze e, conseguentemente, sviluppare l’attacco psicologico a cui quella determinata popolazione è più vulnerabile. Si tratta quindi, esplicitamente dichiarato, di manipolare i bisogni inconsci per i propri propositi.

Col trascorrere degli anni, e per tutta la Guerra Fredda, l’interesse volge sempre più verso sperimentazioni umane alla ricerca di sostanze psicotrope (THC, mescalina, amilato di sodio, LSD e PCP) che potessero fungere da siero della verità. In questo periodo, ex nazisti vengono reclutati per i loro meriti nello sviluppo scientifico nei campi tecnologico, medico e farmacologico; la documentazione prodotta dagli esperimenti svolti a Auschwitz e a Dachau viene usata dall’intelligence USA. Da un punto di vista clinico, l’interessamento per l’uso di sostanze psicoattive ha lo scopo di velocizzare il processo regressivo, volto ad aggirare le resistenze psichiche in vista di un cambiamento. Dal punto di vista militare invece, esso è finalizzato ad implementare le tecniche di interrogatorio e la comprensione del cosiddetto ‘lavaggio del cervello’ portato avanti dai regimi comunisti.
Progetti di ricerca medica e psicologica di questo tipo vengono largamente finanziati, con questa finalità, dalle agenzie di intelligence e da branche dei servizi militari dai primi anni ’50 alla metà degli anni ’70; i beneficiari degli investimenti sono università, penitenziari, ospedali e cliniche. Gli studi sono condotti principalmente su soggetti inconsapevoli come studenti, soldati, detenuti e pazienti psichiatrici, e combinano l’uso di sostanze con la deprivazione sensoriale e del sonno, l’isolamento, l’ipnosi e l’induzione di stress. Si studiano tecniche di manipolazione e regressione indotta, volta a rompere le resistenze psichiche, alterare e controllare la percezione e il comportamento. Tutti questi processi regressivi li troviamo poi incorporati in varie tecniche della moderna tortura psicologica, riassunte dalla CIA nel Kubark (Counterintelligence Interrogation Manual) del 1963.
Dalla metà degli anni ’50 alla metà anni ’60 alcuni psicoanalisti teorizzano sulle tecniche per il controllo della mente, basandosi sulla psicologia dell’Io (ad es. Rapaport). L’Io viene indebolito attraverso tecniche regressive e blocco delle strutture basilari per la sua autonomia: aumento di bisogno, pericolo e paura; mancanza di privacy; deprivazione sensoriale e verbale (elementi necessari al mantenimento delle strutture di pensiero, valoriali, ideologiche e identitarie); “un flusso costante di istruzioni e informazioni che in mancanza di altro stimolo-nutrimento raggiunge talmente tanto potere da aver l’Io alla sua totale mercè (Rapaport, 1958: 22)” (pag. 155, traduzione mia). Allen W. Dulles la definisce nel 1953 ‘guerra cerebrale’.

Anche in Canada, alla McGill University di Montreal sotto la guida dello psichiatra Cameron, vengono finanziati dalla CIA e dal governo canadese, a cavallo tra gli anni ’50 e ’60, sperimentazioni umane su combinazioni di istruzioni ripetute in cuffia, immobilizzazione, sedazione, deprivazione sensoriale e del sonno, che portano alla totale perdita di controllo delle capacità mentali e delle funzioni corporee. L’obiettivo clinico di questi studi è quello di distruggere pattern di personalità disfunzionali per poter reintroiettare un nuovo modello relazionale più sano e funzionale (secondo criteri stabiliti dal clinico, ovviamente). Cameron stesso definisce queste tecniche come ‘beneficial brain-washing’; l’autore del capitolo parla di “un processo di ‘ingegneria sociale’ da parte di chi ha sostenuto di detenere ‘la verità’” (pag.158, traduzione mia).
Di fatto le procedure sono molto simili al programma della CIA sulla tortura bianca e sulle tecniche di interrogatorio sviluppate dopo l’undici settembre e rinominate dall’amministrazione Bush ‘Enhanced Interrogation Techniques’. Secondo Müller, è fallito il tentativo da parte dell’intelligence di creare un ‘Manchurian Candidate’, un modo cioè di istruire un individuo a compiere azioni contro la sua volontà e persino contro leggi fondamentali di natura come l’autoconservazione.
Quello che emerge da questa carrellata storica è che, a fronte di un netto vantaggio per psichiatri e psicoanalisti in termini di potere, prestigio e finanziamenti per le proprie ricerche, i protagonisti non si sono soffermati sulle questioni etiche, senza considerare quegli aspetti del loro lavoro che vanno decisamente contro il giuramento di Ippocrate e il Codice di Norimberga. Essi hanno lasciato che il materiale psicoanalitico, frutto del loro lavoro, venisse usato per scopi di intelligence in modo totalmente acritico. Hanno così contribuito allo sviluppo di tecniche di tortura psicologica, spesso utilizzate da sistemi totalitari come quello originariamente combattuto.
Il capitolo si chiude con la citazione dello psicologo inglese Harper: “Ci sono, dunque, tre ragioni per focalizzarsi su questi argomenti. Primo, la disciplina della psicologia si auto-posiziona come una scienza, ma c’è spesso una scarsa discussione sulle implicazioni etiche e politiche dell’uso di questa conoscenza. Secondo, gli psicologi mostrano una considerevole ignoranza riguardo la storia della loro disciplina, in particolare sull’applicazione della conoscenza psicologica da parte di agenzie militari e di sicurezza. Terzo, a causa di questa ignoranza, la disciplina corre il rischio di ripetere gli errori precedenti. […] È importante che noi rivisitiamo continuamente questa storia, e non ci dimentichiamo della nostra complicità nei suoi abusi. (Harper, 2007: 16)” (pag. 160, traduzione mia).

Pochi giorni fa un amico mi ha chiesto come facessi a pensare al lavoro (di psicologa), in un periodo tanto drammatico e incerto come quello che stiamo vivendo. Gli ho risposto, scherzando, che avere pochi risparmi è un buon incentivo al pensarci. Questa che avete appena letto è la risposta seria alla sua domanda, o almeno una delle possibili risposte serie. Se, durante la lettura, vi è sembrato di scorgere elementi in qualche modo familiari, è perché tutto questo è dannatamente attuale.

Per i lavori di Müller e tutti i riferimenti bibliografici: HISTORY OF THE COLLABORATION BETWEEN THE US-PSYCHOANALYTIC COMMUNITY AND THE US-MILITARY-INDUSTRIAL COMPLEX | Knuth Mueller | Research Project (researchgate.net)

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