Prima di iniziare, invito alla lettura dell’articolo originale di Gramellini (Corriere della Sera, 19 mar 2022):
In questo pezzo lei espone la sua personale opinione sulle idee, o meglio su pochi concetti decontestualizzati e opportunamente ridotti, del professor Orsini in merito al conflitto in corso in Ucraina. Curiosamente, proprio la forma sintetica e obbligata dei suoi “caffè” risulta propedeutica all’improbabile reductio ad absurdum delle tesi altrui, dovendosi questa concludere nei limiti imposti dall’angusto ripostiglio di parole concessole dal suo editore e con la necessità, si capisce impellente, di infarcire la sua piccola opera con spiritosaggini non sempre riuscite e improbabili neologismi.
Può darsi, infatti, che il professore soffra di una qualche forma di narcisismo – si capisce del tutto estranea agli altri partecipanti dei vari talk show o ai grandi romanzieri come lei, costretti loro malgrado a farsi rovinare la pelle dai riflettori senza lo straccio di un compenso qualsiasi (che comunque non sarebbe mai sospeso) – ciò detto, sembra che nell’ansia di suscitare il plauso godereccio nei suoi frettolosi lettori sia finita per sfuggirle la prima metà della sua creazione linguistica, quel “paci” che soltanto nella smodatezza del suo strano umorismo dovrebbe assumere una connotazione in qualche modo negativa.
Il pacifismo del professor Orsini è tanto meno narcisistico quanto più lontano dalle stilizzazioni fanciullesche di un globalismo insensato cui il “suo” giornale, come molti altri quotidiani nazionali, fa al contrario perenne opera di propaganda. Tale pacifismo, lontano anni luce dalla riedizione di vacui slogan idealistici pro o no qualcosa, emerge ineluttabile dall’analisi disincantata degli avvenimenti, con la piena coscienza delle criticità incipienti e delle possibili soluzioni, realistiche e ponderate, per un groviglio geopolitico la cui immanenza storica lei vorrebbe argutamente risolvere nell’infantile pantomima del “bene contro il male”, con tanto di riabilitazione posticcia di mercenari svasticati a frotte, e in odore di beatificazione.
Il pragmatismo strategico del professor Orsini può essere interpretato in modi certo differenti, e trovare l’accordo o il disaccordo di altri analisti parimenti qualificati, non può invece subire il rozzo tentativo di discredito da parte di detrattori incolti e sprovveduti al punto da confondere le ragioni della Storia con le giustificazioni morali dei suoi artefici. Certe semplificazioni, è chiaro, non ambiscono alla conquista né tantomeno alla diffusione di un senso di valore pari e contrario alle tesi che vorrebbero faticosamente contraddire, bensì al loro svilimento su un piano meramente estetico o emozionale, cogliendo qua e là parole e frasi sradicate da un contesto per sua natura complesso, e indugiando nella collaudata ironia vagamente pietistica della quale lei, signor Gramellini, è infelice ambasciatore.
Evitandole neologismi altrettanto anonimi, mi limito perciò a rilevare quanto la superficialità di certe sue elucubrazioni, unita alla sconcertante vaghezza del suo interventismo moraleggiante, raccolga in potenziale tutte le prerogative di illusione e sventatezza indispensabili alla guerra. È proprio nella voragine informativa promossa da condotte simili alla sua, infatti, che trovano asilo i semi della discordia presenti e futuri, perché raccolti a manciate da mani illibate e cosparsi sulla terra resa fertile dai roghi culturali appiccati in tutta Europa dal secondo dopoguerra in poi, e tra i quali l’Italia si trova nuovamente, e tragicamente, a essere avanguardia.
Orsini, come altri, ha ben illustrato, e con dovizia di particolari, in che senso vada intesa l’equiparazione morale tra le parti in causa sintetizzata dalla frase: “se Putin è un mostro, sicuramente lo siamo anche noi”, oltre la quale lei non sembra comunque in grado di proporre analisi di alcun genere. Questa equiparazione risponde infatti, e in maniera diretta, ad una necessità mediatica posta ripetutamente in essere da chi, come lei, vuol ricondurre le questioni planetarie al riconoscimento televisivo di un fantomatico primato valoriale talmente anacronistico, oltre che assai opinabile, da renderne manifesta tutta la pretestuosità. Solo per questo una persona paziente e fin troppo ragionevole come il professor Orsini si trova nella noiosa posizione di sottolineare l’ovvio a beneficio di chi l’ovvio preferisce non studiarlo, sperando al contempo che l’infarinatura generale possa lenire gli effetti del digiuno praticato dagli asceti culturali presenti in studio.
Perché l’ignoranza assurga a valore positivo, infatti, bisogna essere consapevoli di non sapere ma, esattamente come per tutto il resto, anche in campo socratico lei non va oltre la prima parte del discorso, mancando l’opportunità di redimersi attraverso l’ascolto. Ironia della sorte, proprio la povertà delle sue ingenue stilizzazioni cinematografiche di stampo hollywoodiano, quelle che vogliono l’impero della luce rivoltarsi contro l’incedere delle tenebre e i guerrieri dalla fulgida armatura marciare sulla terra ribollente alla conquista delle immaginifiche fortezze della sua fantasia, trova nella banale rievocazione delle suddette malefatte occidentali, cui il professore ha soltanto accennato, la sua ineluttabile conclusione, che per venirle incontro e non provocarle una crisi di coscienza potremmo sancire in uno spettacolare pareggio morale costato la vita di milioni di esseri umani, la stragrande maggioranza dei quali non trova requie nella sua volubile sensibilità.
Chiusa l’unica pratica presente nel suo scarno archivio, resta il complesso di origini, contingenze e soluzioni alla portata solamente di chi, approfondendo il discorso, porta a galla le implicazioni finali di una escalation militare la cui evitabilità, come la Storia dovrebbe ormai averci insegnato, risulta direttamente proporzionale alla lungimiranza e all’intelligenza, quella si realmente morale, di chi rifugge come la peste qualunque forma di fanatismo ideologico e promuove la verità come imprescindibile strumento di analisi, per cruda o indigesta che sia. Le violenze e le violazioni dell’Occidente non fungono da contrappeso etico sulla bilancia del suo personale, e francamente poco utile, concetto di giusto o di sbagliato, ma servono a inquadrare lo scenario nel quale si svolge una storia altrimenti mistificata in principio nelle sue ragioni, quindi nelle sue proporzioni, le quali impongono una reazione che per essere esatta deve in primo luogo fondarsi sopra una lettura il più possibile veritiera, cioè realistica, degli eventi. Su tutto questo, signor Gramellini, lei non è stato in grado finora di offrire alcun contributo: non una analisi storica, sociale, economica, o di qualunque altro genere che possa in qualche modo avallare la protervia delle sue illazioni grottesche sopra la cartoonesca malvagità di eserciti di vampiri assetati del nostro sangue blu (e bianco, e rosso, e stellato), non un’ipotesi, sia pure abbozzata nella forma che le è più congeniale, ma credibile allo stesso di quella che collocherebbe l’invasione dell’Ucraina nell’ambito di una tensione geopolitica incombente perché fomentata allo scontro frontale dall’altra superpotenza nucleare le cui guerre per procura rappresentano ormai una triste ciclicità della storia.
Insomma, non c’è nulla nel suo caffè come nei suoi sermoni televisivi che vada oltre l’opinionismo più sregolato, e non farebbe gran danno se la sua visibilità mediatica non le conferisse un pur debole ascendente presso il suo inconsapevole auditorio. Non stupisce affatto, quindi, la sua dichiarata avversione per la “complessità”, che lei giudica alla stregua di un superfluo optional per automobili. Il consiglio è quello di “accessoriare” le sue idee con i gadget che le appaiono più costosi in termine di tempo e fatica, soprattutto se deve farne un uso offensivo. Diversamente incorrerà sempre nel rischio di suscitare, in chi la legge, la viva sensazione che la brevità della sua rubrica sopperisca a una sconcertante mancanza di argomentazioni rilevanti.
Quanto alla pace e alla libertà, non fanno parte delle opzioni scaturenti da un periodico incitamento all’odio verso il nemico, e forse nemmeno delle sue speranze.
La mia rimane che un giorno in Italia un professore possa parlare liberamente senza subire la cancellazione della propria pagina di Wikipedia e senza essere fatto bersaglio di commenti ed epiteti scadenti, di campagne di discredito a mezzo stampa e televisivo, di deplorevoli censure da parte della propria università e di privazioni economiche conseguenti alla sospensione di contratti legittimamente stipulati. Significherebbe che anche qui è arrivata la libertà, quella vera.
Grazie per la meravigliosa e lucida analisi del non-pensiero di una delle voci autorevoli della vera “oligarchia” che domina incontrastata l’informazione martellante alla quale siamo quotidianamente sottoposti.
siamo pieni di simili personaggi ed a nulla vale fare zapping tra le differenti reti omologate ed omologanti. Brain storm non mi viene altro termine per definire la lucida azione di questo “giornalismo” autocelebrtativo ed arrogante che si presenta nella menzogna di essere radicato orgogliosamente nella tradizione anglosassone. Paladino della libera informazione ed a servizio del libero pensiero è, in realtà, solo la misera mistificazione della realtà che, suo malgrado, non può cogliere nell’essenza profonda poiché vittima della “semplificazione-banalizzazione” che il Potere gli impone. Nel giudizio sprezzante ed offensivo rivolto al Prof. Orsini, quando gli attribuisce Il “timor panico” nei confronti di Putin, si può cogliere l’elemento rivelativo della sua personale condizione che, nel gioco del rispecchiamento, vede nell’altro niente altro che la proiezione della propria condizione di schiavitù. La radice di tanta rabbiosa aggressività?
Roberto Stella