Quando le cose, i segni, le azioni vengono liberati dalla loro idea, dal loro concetto, dalla loro essenza, dal loro valore, dal loro riferimento, dalla loro origine e dal loro fine, allora entrano in un’auto-riproduzione all’infinito. Le cose continuano a funzionere mentre l’idea che le accompagnava è da tempo scomparsa. Continuano a funzionare in una indifferenza totale nei confronti del loro contenuto. E il paradosso è che esse funzionano ancor meglio.
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C’è forse in ogni sistema, in ogni individuo, la pulsione segreta a sbarazzarsi della propria idea, della propria essenza, per poter proliferare in tutti i sensi, estrapolarsi in tutte le direzioni? Ma le conseguenze di tale dissociazione possono essere soltanto fatali. Ogni cosa che perde la propria idea è come l’uomo che perde la propria ombra – essa cade in un delirio in cui si perde.
Qui comincia l’ordine, o il disordine metastatico, di demoltiplicazione per contiguità, di proliferazione cancerosa (che non obbedisce neanche più al codice genetico del valore). E allora in qualche modo in tutti i campi sfuma la grande avventura della sessualità, degli esseri sessuati – a tutto vantaggio dello stadio anteriore (?) degli esseri immortali e asessuati che si riproducono, come i protozoi, per semplice divisione del Medesimo e declinazione del codice. Gli esseri tecnologici attuali, le macchine, i cloni, le protesi, tendono tutti verso questo tipo di riproduzione e gradualmente inducono lo stesso processo tra gli esseri cosiddetti umani e sessuati.
Tutti i tentativi attuali, tra cui la ricerca biologica più avanzata, tendono verso la messa a punto di una tale sostituzione genetica, di riproduzione sequenziale lineare, di clonaggio, di partenogenesi, di piccole macchine celibi.
Dai tempi della liberazione sessuale la parola d’ordine è stata quella del massimo di sessualità col minimo di riproduzione. Oggi il sogno di una società clonica sarebbe piuttosto l’inverso: il massimo di riproduzione col minor sesso possibile.
Un tempo il corpo era la metafora dell’anima, poi divenne la metafora del sesso, oggi non è più la metafora di nulla, è il luogo della metastasi, della concatenazione macchinica di tutti i suoi processi, di una programmazione all’infinito senza organizzazione simbolica, senza obiettivo trascendente, nella pura promiscuità con sé stesso che è anche quella dei sistemi reticolari e dei circuiti.
La possibilità della metafora svanisce in tutti i campi. Questo è un aspetto della transessualità generale che si estende ben al di là del sesso – a tutte le discipline, nella misura in cui esse perdono il loro carattere specifico ed entrano in un processo di confusione e di contagio, in un processo virale di indistinzione che è l’evento primo di tutti i nostri nuovi eventi. L’economia divenuta transeconomia, l’estetica divenuta transestetica, il sesso divenuto transessuale, convergono tutti in un processo trasversale e universale dove nessun discorso potrebbe più essere la metafora dell’altro , giacché, perché ci sia metafora, occorre che ci siano dei campi differenziali e degli oggetti distinti.
Jean Baudrillard – “La trasparenza del male”
(1990, Sugarcoedizioni, pagg. 12,13,14)