Vedere è potere?

  • di Vanina Sartorio

(Recensione di “Cassandra”, Christa Wolf, E/O edizioni, 1983)

Cassandra è la veggente, figlia di Priamo re di Troia, colei che vede ciò che nessuno vuole vedere.

Colei che, dichiarata pazza, non verrà mai creduta.

Fatta prigioniera da Agamennone in seguito alla sconfitta della sua città da parte dei Greci e portata a Micene, Cassandra si ritrova davanti alla porta dei leoni, in attesa di essere giustiziata, a ricordare la sua vita a Troia, ripercorrendo le tappe che hanno condotto la sua famiglia e il suo popolo all’ineluttabile rovina.

È solo ora, di fronte all’imminenza della morte, che sembra comprendere la verità che la sua veggenza le ha sempre  impietosamente messo davanti, e che lei, oppressa dal peso del rango e dall’amore per la famiglia non riusciva ad assumere su di sé: il potere si alimenta sempre della perpetua distorsione della realtà. Fino a quando la fortezza di bugie non si incrina e crolla schiacciando anche chi l’aveva costruita.

Segreti, intrighi di palazzo, figli rinnegati e scampati alla morte che riemergono dal passato per compiere il loro tragico destino e con esso antiche profezie.

E accanto al lento succedersi della perdita dei valori del suo popolo, l’amara consapevolezza di non essere ascoltata; l’altro volto della veggenza, un marchio ricevuto dallo stesso Dio Apollo foriero del dono, a causa del rifiuto della sacerdotessa di accoglierne le sembianze oscure rappresentate dal lupo e i topi dell’Apollo Licéo.

Lo scontro tra mitologia classica e antiche divinità preelleniche legate a Cibele, la Grande Madre, la paura della parte inconscia e primitiva dell’essere umano che si traduce nell’abbandono di una cultura (forse) matriarcale e quindi più vicina alla vita che alla guerra dei Greci e degli uomini, sembrano essere le ragioni che Christa Wolf suggerisce alla sua eroina come all’origine della distruzione di una cultura altra.

Spezzata, più che dalla feroce violenza del nemico incarnata da Achille la bestia, dalla malìa di una visione più netta e arrogante del mondo e dalla conseguente paura di un inconscio collettivo ancora potente e quindi da reprimere.

Non a caso Cassandra individua la rovina definitiva di Troia in un preciso momento: quando durante un banchetto Paride, il fratello, dichiara al re di Sparta Menelao, di pretendere la moglie Elena per sé.

Una donna mai vista, ma nota per essere la più bella di tutta la Grecia. Non è amore, ma vanità dunque a trasformare Troiani e Greci in nemici per poi confondersi gli uni negli altri, come avviene in ogni guerra.

È il totale sopravvento dell’io sul complesso della psiche che, affondate le radici in epoche così lontane, attraversa il mito e la storia per incoronarsi a unico sovrano della nostra società contemporanea.

Malgrado il tragico compiersi degli eventi, i dieci anni di assedio a Troia lasciano spazi e tempi per la costruzione di qualcosa. In grotte lungo le rive del fiume Scamandro un manipolo di schiave, il saggio Anchise, padre di Enea, e Cassandra, rinnegata da Priamo perché incapace di accettare passivamente il cambiamento, provano, attraverso riti primordiali e il loro incarnarsi in una primitiva arte artigianale, a dare forma alla memoria. Ciò per cui vivere diventa “(…) far avanzare una sottile striscia di futuro dentro l’oscuro presente che occupa ogni tempo.” Ecco allora che un brandello di speranza, per quanto minuscolo e logoro, sopravvive al tragico perire di un mondo valoroso. Speranza incarnata poi in  Enea che condurrà la sua gente in salvo per fondare una nuova società.

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